giovedì 18 giugno 2015

ALFANO NON COMMISSARIA ROMA PERCHE' PERDEREBBE MARCHINI...




di Cesarino Giulio
Arrestati, indagati, concussi e discussi, il Campidoglio sembra la succursale di un braccio di Regina Coeli, nei dipartimenti comunali girano più Ros che dipendenti e le microspie in via delle Vergini stanno traslocando nella nuova sede di via del Tritone. 
Di fronte alla drammatica escalation di ammanettati che somiglia agli indianini di Agatha Christies – chi sarà il prossimo? - e alla faccia dell’ultima delibera di consiglio sui residui di bilancio passata tra assenteisti e astenuti della maggioranza, c’è comunque chi resiste e non cede. 
Non arretra e non cade. 
‘Barbinomarino’ non ci pensa proprio a lasciare il suo scranno. Magnifica di aver fatto pulizia ma almeno una “decina” di “stelle” tra i suoi figuri più fidati, di cui uno spostato di ruolo prima che arrivasse l’ondata di dicembre, compaiono pesantemente nei verbali al vaglio della magistratura. E’ la 'sindacografia' di un uomo ritrovatosi comandante ma incapace a comandare, a sinistra e a destro conosciuto come il marziano e al popolo di Roma come il sindaco più pazzo del mondo.  
Incline al viaggio – passa più tempo in America che in Campidoglio – si dimentica della meta, pedonalizza a buffo, si vanta di scegliere manager attraverso curricula e riesce a nominare persone indagate  o senza requisiti. 
Sega lo stipendio a 24mila dipendenti e decide che i romani che vorranno prendere il caffè con la cremetta all’Estauchio dovranno pagare il pedaggio. 
Accerchiato e congelato, rimane in piedi mentre la Capitale sprofonda. 
Ieri cabinato con tanto di regia per la gestione della città e oggi commissariato sul Giubileo è fin dal suo insediamento una linea telefonica morta con modalità ricevente. 
Rutelli, Veltroni e Alemanno si sarebbero dimessi da un pezzo ma lui no, non ha gerarchie a cui rispondere o vassallaggi da difendere, è un uomo di apparato ma non di budello e quello che accade nel ventre dei circoli piddini e nelle lotte fratricide tra correnti sinistrorse, le stesse che oggi sono state spezzate e spazzate via dall’inchiesta Mafia Capitale, 'je rimbarza'. 
Ora, in un Comune dove gli unici rimasti a piede libero sono Giulio Cesare nell’Aula Senatoria e Marc’Aurelio in piazza del Campidoglio, Marino non ha molte chance. 
Fatto salvo che l’Amministrazione comunale molto difficilmente sarà sciolta per infiltrazioni mafiose, e non tanto perché non ci sono gli estremi ma soprattutto perché tale decisione implicherebbe la non ricandidabilità per 5 anni di tutti gli eletti di tutti gli schieramenti politici – decreto legislativo 18 agosto 2000, art 143 (modificato dalla legge 94 del 2009). 
Ed attualmente fra quegli eletti risulta anche il potenziale candidato su cui Fi, Ncd e rimasugli vari puntano a mettere cappello e su cui il grande retroscenista di lotta e di governo da ex Pdl si sta giocando l’ultima goccia di credibilità su Roma. 
Ritrovarsi quindi fuorigioco il coniglio dal cilindro sarebbe un bel problema non solo per quel pezzo di centrodestra in cerca di leader ma anche per la grande economia romana oggi alla canna del gas. Pertanto, la lepre deve correre.  
Il Cara di Mineo è una bomba ad orologeria che se esplode davvero lascerebbe morti e feriti, far dimettere quindi Marino farebbe da apripista alle elezioni del 2016 sul nazionale, una scadenza per Renzi quasi irrinunciabile visti i pessimi risultati delle regionali. Ma fin qui, tutto sommato, siamo ancora nell’alveo delle ipotesi da exit strategy, mentre una strada concreta percorribile che porta dritta dritta alle dimissioni dell''imbullonato' è sicuramente la sfiducia da parte della maggioranza. 
In Campidoglio tira brutta aria, gira voce di una una terza ondata e in tanti, da tempo, sobillano che stavolta riguarderebbe il vicesindaco. A quel punto per i consiglieri Sel e per più di qualcuno del Pd si concretizzerebbe un’occasione ghiotta per mandare a casa Marino, sfiduciandolo, e rimanere così intonsi e pronti per un altro giro.

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